YOGA DOCET: L’IMPORTANZA DI COLTIVARE UNA CHIARA VISIONE
Abitualmente tendiamo ad esercitare un controllo pressoché costante sulla nostra vita e sulle nostre emozioni senza accorgerci che in realtà, altro non siamo che dei processi che elaborano e attraverso i quali la vita si esprime.
L’esercizio del controllo si interfaccia con i nostri sentimenti di paura e di incertezza legati alla effimerità della nostra esistenza. Nel tentativo di porci al riparo da quella che consideriamo essere l’imprevedibilità della vita cerchiamo rifugio in un mondo fatto di parole, di concettualizzazioni e di abitudini.
Rispondiamo costantemente alla necessità di definire, etichettare tutto ciò che riteniamo appartenere alla nostra realtà, ripetiamo percorsi e gesti già rivisti come se questa ritualità potesse in qualche modo garantirci un maggiore margine di sicurezza e di tranquillità.
La necessità di restare nella zona comfort
In realtà questo rimanere ancorati a quella che riteniamo la nostra “zona di comfort”, a lungo andare inquina la nostra capacità di visione, il nostro sguardo diviene concentrico e restando imbrigliati nelle nostre abitudini finiamo per spegnere la nostra creatività.
Se provassimo ad ascoltare le nostre parole nel momento in cui le pronunciamo, collocandoci quali testimoni esterni, potremmo accorgerci quanto il nostro linguaggio non sia pulito, bensì carico del nostro vissuto, dei nostri condizionamenti e quanto anche i nostri gesti siano spesso automatici e distanti dal nostro sentire. Questa mancanza di visione e di comprensione diretta determina nel tempo un impatto negativo sul nostro sistema nervoso, rendendoci agiti e reattivi. Ed è questo il motivo per cui molte persone vivono la loro vita improntata ad uno stato di costante inquietudine e insoddisfazione, piuttosto che di calma e di serenità.
In quanto esseri viventi siamo chiamati ad avere una visione diretta di noi stessi, degli altri e delle cose del mondo: una visione chiara, lucida in grado di collocarsi al di là delle parole e di tutte le nostre possibili variabili interpretative.
Educare la mente
Quindi, anziché controllare la nostra vita dovremmo essere in grado di controllare la nostra mente, poiché se questa è diseducata ed ammalata a lungo andare anche il corpo ne seguirà la medesima sorte.
L’immagine può essere quella di un corpo lasciato in balia di una mente incontrollata alla stregua di una macchina senza freni. E lascio a voi dedurre cosa può succedere.
Ecco perché Patanjali enfatizza il controllo dello stato mentale e attraverso Yama – il primo degli otto stadi- ci indica la strada dell’autodisciplina attraverso la quale riprendere le redini della nostra mente.
Semplificare per alleggerire
Attraverso i nostri mi piace e non mi piace, le nostre avversioni e attaccamenti – raga e devsa – finiamo per opacizzare la realtà così come naturalmente appare. Senza rendercene conto operiamo costantemente uno scollamento, un braccio di ferro tra ciò che è nella natura delle cose e ciò che invece vorremmo che fosse e alla fine del quale risultiamo inevitabilmente perdenti.
Occorre semplificare. Si tratta essenzialmente di rendere più semplice la modalità con la quale siamo soliti rapportarci a noi stessi e a tutto il resto. Si tratta di alleggerire togliendo tutte le infrastrutture operate da una mente confusa e timorosa per tornare a vedere le cose come sono realmente.
Lasciando cadere le impalcature mentali e il vocio interminabile delle parole, l’agitazione mentale si arresta e lo yoga si manifesta per quello che è realmente : la disciplina della percezione.
Rapporto di non violenza con noi stessi
Nella pratica significa darci la possibilità di costruire un rapporto di non violenza a partire dalla nostra fisicità. Un rapporto che abbia a che fare con il corpo per quello che è, senza più esercitare su di esso alcuna forzatura. L’esperienza di una quieta e agevole immobilità in asana ci permette di cogliere più in profondità la dinamica respiratoria, dove in particolare l’espiro e la pausa successiva rappresentano una resa, un arrendersi alla “non azione” a vari livelli: un luogo dove poter ristabilire nuovamente una relazione diretta tra l’attività mentale e la percezione della realtà per quello che è.
Occorre ancora una volta uscire da Avidya, la falsa conoscenza che rappresenta fondamentalmente l’ignoranza riguardo la nostra natura essenziale che non riusciamo a cogliere perché concettualmente sommersa. Nel continuare ad attribuire carattere di verità assoluta alla percezione della dualità dei fenomeni, anziché attribuirla al linguaggio, ai ricordi e alla nostre preferenze, alimentiamo la confusione e il conflitto.
Patanjali nel suo Sadhana Pada dedica il sutra 17 proprio a questa questione, ovvero alla confusione che siamo soliti esercitare fra parola, cosa reale e l’idea che abbiamo delle cose, la sovrapposizione delle quali genera equivocità.
Gli equivoci generati da questo stato di cose, come suggerisce Patanjali sono la fonte di tutti gli ostacoli e causano effetti dolorosi nelle azioni che svolgiamo. Occorre sviluppare un antidoto : educare la mente, renderla nuovamente in grado di perseguire ciò che anche la tradizione buddhista e la vipassana indicano come Radiosa Chiarezza, quale sorgente imprescindibile del nostro equilibrio interiore.
Cambiare sguardo
Questo tempo così destrutturato che stiamo vivendo potrebbe essere l’occasione per provare a cambiare questo tipo di sguardo, iniziando da noi stessi per lasciarlo poi allargare a tutto il resto. In un’era purtroppo sempre più dominata da scenari impoveriti e confusi, l’idea è quella di trovare un modo dove scambiare dei contenuti diversi, dove anche la pratica dello yoga possa muoversi verso direzioni più autentiche e l’esperienza di vita tornare ad essere gioiosa.
Si fa un gran parlare di consapevolezza, e oggi quasi tutte le pratiche che girano intorno al benessere dell’uomo mirano ad ottenere questo stato a garanzia di uno stato di prevenzione e recupero da stati di sofferenza e quale preludio di una condizione di vita piena ed equilibrata.
In realtà la consapevolezza non è qualcosa che si deve ottenere o acquisire o aggiungere a quello che già siamo. E’ qualcosa che è sempre con noi, è quella risorsa sempre disponibile, a portata di mano che attende solamente di essere risvegliata per tornare a vedere le cose per quello che sono, posta al servizio della nostra crescita evolutiva individuale e di specie.
Come arrivare all’equilibrio interiore
Siamo continuamente esposti alla sollecitazione dei nostri sensi e questo inevitabilmente agita la nostra mente e ci allontana da quella pace interiore che è indispensabile per il funzionamento di tutto il nostro organismo. Quando la mente non è rilassata è facile preda delle nostre emozioni e questa condizione crea delle contrazioni mentali potenti che a loro volta vanno a contrarre la nostra muscolatura creando le disarmonie posturali. Si innesca un meccanismo che dalla mente va al corpo e dal corpo alla mente incessantemente. Abbiamo detto che la pratica è una ricerca di spazio e lo spazio indica una forma di libertà. L’importanza quindi di restituire spazio prima di tutto alla nostra mente avere una mente rilassata per ricondizionare positivamente tutta la nostra struttura.
Quando perdiamo uno stato di equilibrio interno lo perdiamo principalmente per una serie di contrazioni mentali che creano squilibrio fra i due emisferi cerebrali. Quando la natura dei nostri pensieri, come spesso succede, entra in uno stato di ripetitività quasi ossessiva, questo prenderà spazio all’interno del nostro cervello andando ad influenzare negativamente la plasticità neuronale. I pensieri afflittivi e ripetuti creano dei solchi, delle trascrizioni a livello cerebrale che nel tempo possono portare a delle modificazioni neurologiche anche importanti. Inoltre è stato documentato come un’eccessiva sollecitazione e contrazione di uno dei due emisferi possa sollecitare l’apparato muscolo scheletrico e portare anche ad uno spostamento interno della massa viscerale.
Shanmukhi Mudra
Da quanto detto appare chiaro quanto la nostra mente possa essere considerata la centralina di tutto il nostro sistema psicofisico.Prendersi cura della nostra mente è sicuramente la strategia migliore per recuperare o mantenere uno stato di equilibrio fondamentale per la nostra salute.
Spesso passiamo da una cosa all’altra al pari di una scimmia inquieta e insaziabile. La pratica di una mudra in particolare ci può aiutare ad ottenere una mente rilassata chiudendo i nostri sensi alle percezioni esterne: SHANMUKHI MUDRA può favorire il viaggio della nostra attenzione dall’esterno all’interno, dall’agitazione alla calma.(ShanmuKhi = chiudere le sei porte della percezione esterna)i due occhi, le due orecchie, il naso e la bocca per favorire l’introspezione ed impedire la dispersione del prana e dell’energia vitale. Favorisce l’equilibrio mentale e la concentrazione e prepara alla meditazione.
Lo yoga ci insegna ad essere nel gesto in modo totale. A volte quando prendiamo una posizione abbiamo la sensazione di non sviluppare uno stato di sincronia, di propriocezione piena quello stato in grado di restituirmi una condizione di benessere e di piena soddisfazione che nasce dalla percezione del mio corpo in movimento nello spazio, a prescindere dal livello di postura che sto eseguendo. E’ quel sentimento di sensualità appagante che si manifesta ed in grado di essere in totale sintonia con quello che sto svolgendo attraverso il corpo. Pensando alla sensualità come uno degli aspetti importanti della nostra vita, insieme al trarre il giusto nutrimento dal buon cibo, al dormire bene e non solo circoscrivibile al solo atto sessuale, ma come momento imprescindibile dell’equilibrio psicofisico della persona Ho sempre pensato che lo yoga sia lo strumento più importante in grado accompagnarci a ri-innamorarci di noi stessi.