Categorized as: Articoli

Yoga e diabete, quando le buone abitudini portano benefici alla salute

Yoga e diabete, quando le buone abitudini portano benefici alla salute

I fattori in grado di incidere sulle condizioni fisiche sono innumerevoli, indipendentemente dalla natura o dalla gravità dei disturbi. Vita sedentaria, stress, abitudini scorrette a tavola possono compromettere una situazione non favorevole in partenza.

Ad aggravare il quadro si può affacciare anche una certa predisposizione ereditaria riguardo determinate malattie, soprattutto durante la terza età. Correggere i comportamenti sbagliati diventa fondamentale, in tale ottica: è quanto accade, per esempio, con yoga e diabete.

Insieme a un’alimentazione sana, cure su misura e controlli regolari, tale disciplina consente una gestione (se non una prevenzione) più agevole delle complicazioni derivanti dalle disfunzioni dell’organo pancreas.

 

Yoga e diabete, perché trova così ampio riscontro?

Le pratiche cosiddette orientali, come lo yoga e la meditazione stanno ormai trovando larga diffusione in vari ambiti, e come valida integrazione dei protocolli medici in primis. Al momento attuale non è riconosciuta una capacità guaritrice a tali discipline, ma rappresentano comunque un valido supporto ai trattamenti tradizionali.

Lo yoga mette al riparo dai fattori di rischio per il diabete, almeno quelli monitorabili e permette di arginarne gli effetti negativi quando la malattia sia ormai conclamata. Tutto ciò vale per una serie di motivi strettamente legati allo stile di vita quotidiano :

  • induce uno stato di benessere fisico
  • rasserena la mente e abbatte lo stress
  • consente di mantenersi in forma, soprattutto tramite le correnti di pensiero focalizzate su insegnamenti pratici e posture (tipo hatha yoga)
  • concorre a ridurre la produzione di grasso viscerale
  • influisce positivamente sulla respirazione.

Grazie a una regolare attività, vivere bene con il diabete diventa un obiettivo raggiungibile, anche in presenza di una predisposizione ereditaria.

 

Diabete e stress: una correlazione da non sottovalutare.

Al di là delle implicazioni genetiche, solitamente parlare di diabete significa anche parlare di stress.

In particolare parliamo di distress che è vista come la condizione in cui l’organismo si trova nella condizione di non riuscire a spegnere la risposta adattativa alla fase di allarme sollecitata da un evento esterno spesso traumatico :  l’organismo  resta quindi  in una condizione di iperattività costante  che impedisce il  ritorno ai parametri biologici e funzionali normali nel breve periodo. In questa circostanza il perdurare della sollecitazione in atto avrà come probabile risposta una disfunzionalità organica meglio definita come sindrome metabolica dove uno dei parametri più evidenti sarà l’innalzamento dell’indice glicemico.

Appare chiaro che in questa situazione dovremmo preoccuparci di riportare le funzionalità organiche sotto il livello della soglia di guardia agendo sulla causa che ha scatenato una reattività organica abnorme e incontrollata, ricorrendo ad una terapia farmacologica adeguata ma non solo.

Dal momento che siamo un’unità ad un’alterazione organica importante potremo assistere  anche ad un’alterazione dei normali processi psichici con uno svuotamento a livello psico funzionale ed energetico.

Per questo l’intervento di una pratica di yoga regolare potrà rappresentare una valida soluzione atta a prevenire come a ridurre l’incidenza di alcune complicanze legate alla patologia ed anche  adiuvare gli esiti e bilanciare i possibili effetti collaterali delle terapie prescritte.

Attraverso il riordino del processo respiratorio e il conseguente cambiamento di stato di una mente da alterato ad uno stato di calma, la pratica yoga può condizionare grandemente lo stato psicofisico della persona verso un processo se non di guarigione, di prevenzione e di attenuazione di molti disturbi e nello specifico della patologia che stiamo affrontando: il diabete

Lo yoga ci insegna la capacità di diventare resilienti rispetto alle difficoltà che possono presentarsi durante l’arco della nostra vita e ce ne fornisce se lo vogliamo tutti gli strumenti.

 

Le complicanze relative al diabete

Mettere in atto gli esercizi yoga con il diabete è importantissimo per prevenire le complicanze legate a questa malattia metabolica, indipendentemente dalle sue origini. In particolare argina il pericolo di:

  • candidiasi diffusa su tutto il corpo
  • problemi alla retina
  • disturbi cardiaci
  • problemi al sistema nervoso
  • anomalie della coagulazione del sangue
  • aumento del rischio di ictus e infarto.

 

Una pratica efficace indipendentemente dal tipo di diabete

Non è importante conoscere la causa della patologia, per valutare la bontà degli esercizi yoga in caso di diabete. In altre parole, che si tratti di una sindrome auto-immune o derivante dall’invecchiamento, gli effetti sono visibili in entrambi gli scenari.

Da non dimenticare poi l’importanza della meditazione : esiste ormai un’ampia letteratura medico scientifica che  ha visto agire questa disciplina, anche  in modo significativo, nel ridurre  sintomi spesso correlati al diabete  quali la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca,

Tutto ciò riguarda, quindi, anche il rischio di diabete senile o di tipo 2 (DMT 2) e non solo di tipo 1, più frequente tra i bambini e persone in età giovanile e per i quali si evidenzia la necessità di osservare ed agire sul comportamento alimentare fin dalla tenera età.

Le discipline yoga col diabete sortiscono benefici tanto più evidenti quanto più l’adesione al protocollo è rigorosa: attenersi alle cure, pertanto, rimane l’indicazione fondamentale da seguire.

Inoltre, per trovare numerose pubblicazioni al riguardo, è consigliato fare riferimento a Pubmed, la più autorevole raccolta di letteratura scientifica biomedica presente attualmente in rete.

Yoga e Buddhismo tra pratica e dottrina, che cosa le accomuna

Yoga e Buddhismo tra pratica e dottrina, che cosa le accomuna

Si fa un gran parlare oggi di discipline quali lo Yoga, il Buddhismo, la Meditazione. Molto frequentemente non si tiene conto del fatto che vi sono non un solo Yoga, un Solo Buddhismo, una sola Meditazione, ma una grande varietà di scuole e dottrine, ciascuna delle quali con il proprio corpus di regole ascetico-dottrinali, spesso estremamente variegato. Non è certamente questo il contesto in cui passarle in rassegna. In questo breve scritto non vi sono di queste ambizioni, si tratta soltanto di un tentativo di delineare a brevi linee quanto viene indicato nel titolo, con tutte le lacune che, ovviamente, può presentare una tale scrittura. Certamente, oggi più che mai, data la situazione di incertezza in cui viviamo, si avverte il bisogno, perlomeno da parte di molti, di volgere l’attenzione a qualcosa che possa indicarci una via di uscita da questo stato di cose; di recidere, in qualche modo questa vita che si percepisce, a ben ascoltare, effimera, precaria, illusoria, dolorosa, e poter riemergere (in “un altro corpo”), alla vita che renderà possibile l’accesso alla liberazione nella vita stessa. Proviamo ad indicare sommariamente che cos’è questa liberazione, quali percorsi ci vengono proposti dalle discipline soteriologiche, in particolare dallo Yoga e dal Buddhismo.

Lo studio di discipline filosofico-religiose orientali e, dunque, anche quelle che hanno origine in India, ha sempre comportato per gli studiosi non pochi problemi. La trasmissione orale di principi, regole e tecniche ascetiche che, soltanto dopo diverso tempo (anche quattro secoli dalla loro formulazione, ma spesso parecchio di più) potevano trovare una codificazione in forma scritta, ha determinato la scarsità nonché la sovrapposizione di dati storico-cronologici affidabili.

 

UN INVITO COMUNE: LIBERARSI DALLA SOFFERENZA

Tuttavia, oggi si concorda che lo scopo di tutte le filosofie, religioni e mistiche indiane, dunque anche dello Yoga e del Buddhismo, consiste nel liberarsi dalla sofferenza. L’aspetto centrale del Buddhismo, fatto proprio anche dal Samkya-Yoga e dal Vedanta, è la sofferenza e la liberazione dalla sofferenza. Che tale liberazione sia realizzata mediante la conoscenza, seguendo dunque l’insegnamento del Vedanta e del Samkhya, o la si realizzi attraverso la pratica di determinate tecniche ascetiche, come indica lo Yoga e la maggior parte delle scuole buddhiste, il fatto è che nessuna “disciplina” ha valore se non persegue la salvezza dell’uomo. Per lo Yoga, la salvezza umana è determinata da una illusione:  che la vita umana (sensazioni, pensieri, percezioni) sia identica allo spirito, al Sé, al Purusha. L’uomo confonde così due realtà indipendenti che appartengono a due modi di essere. La liberazione si verifica quando il Purusha, il Sé, acquisisce la sua libertà iniziale. Potremmo intendere  questo Sé come Consapevolezza pura, non derivata, non condizionata da alcunché. La vera identità dell’uomo non è costituita dal complesso corpo-mente. Lo Yoga induce l’essere umano a prendere distanza dal complesso della personalità, al fine di realizzare la vera identità in quanto Sé. L’essenza umana è dunque la pura Consapevolezza stessa.

Da un certo punto di vista l’essere umano è da sempre “libero”. Dunque la liberazione non è qualcosa da ottenere o da compiere.  Semplicemente può accadere di ricordare, di riconoscere ciò che si è dimenticato. Allo stesso tempo però, da un punto di vista più pratico, lo yogin deve sforzarsi per rimuovere i “veli” che impediscono alla pura Consapevolezza di manifestarsi. Occorre rimuovere le “contaminazioni” che macchiano lo specchio della mente oscurando la luminosità del Sé. Il Kaivalya (isolamento) accade quando scompare la più piccola traccia di contaminazione che consente il ritorno allo “stato originario” trascendente ogni condizione della mente. Un qualcosa di indescrivibile, inconoscibile, che sfugge qualsiasi definizione, anche quella dello spazio-tempo.

Il sistema classico dello Yoga è esposto negli Yoga-sutra , 194 brevi aforismi distribuiti in quattro libri. Ne è ritenuto autore Patanjali. Non vi è chiarezza su chi sia costui; gli indiani lo identificano col grammatico dallo stesso nome  che visse nel II secolo a.C. Dato pero che gli Yoga-sutra  a noi pervenuti sono stati evidentemente influenzati dal pensiero della tarda filosofia buddhista, possono risalire al IV o V secolo d.C. Sembra altamente probabile che  gli Yoga-sutra non rappresentino un’opera a carattere unitario, bensì una fusione di frammenti diversi.

Ad ogni modo, per Patanjali, come si è visto, la salvezza si potrà realizzare soltanto attraverso la sospensione dell’attività mentale, in modo da eliminare ogni oscuramento dell’essenza reale del Purusha, determinato, per l’appunto, dall’intelletto. Tale eliminazione delle impurità dal mentale e l’isolamento del Purusha da tutto quello che non gli appartiene viene dunque effettuato mediante l’attuazione delle cosiddette “otto membra dello Yoga”, esse sono:

  1. la Ritenuta, la padronanza di Sé (Yama)
  2. l’Osservanza (Nyama)
  3. la Postura, la Posizione (Asana)
  4. il Controllo del Respiro  (Pranayama)
  5. il Ritiro dei Sensi (Pratyhara)
  6. la Concentrazione (Dharana)
  7. la Meditazione (Dhyana)
  8. l’Assorbimento cognitivo (Samadhi)

 

Sakyamuni, il saggio della famiglia degli Sakya, conosciuto in seguito con l’appellativo di Buddha, “lo svegliato”, conosce le pratiche  ascetico-contemplative dello Yoga. Si può affermare che il Buddha ha percorso i suoi primi passi proprio sul terreno dello Yoga, per poi tuttavia superare le soluzioni proposte a quel tempo, rifiutando l’esistenza di un Purusha e, dunque, di un qualsiasi principio assoluto. Forse, più che un rifiuto tout-court del Purusha, Egli evita di parlarne perché convinto che tale principio sia troppo incline a soddisfare l’intelletto, impedendo al ricercatore di “risvegliarsi”. Anzi, fino a quando l’essere umano non si sia “liberato” non può esser data una esperienza del vero Sé. Per il Buddha ed anche per tutte le forme dello Yoga, la salvezza-liberazione si poteva realizzare solo in seguito ad uno sforzo personale, non ad una mera comprensione intellettuale, teorica; occorre “comprendere” e, contemporaneamente, “sperimentare” la verità. I preliminari dell’ascesi e della meditazione Buddhista sono comunque analoghi a quelli che raccomandano gli Yoga-sutra ed altri testi classici. La meditazione Yoga, come viene interpretata  dal Buddha, ha il preciso scopo di rimodellare la coscienza del ricercatore, vale a dire di creare una nuova “esperienza immediata” della sua vita psichica ed anche biologica.

Il Buddha indica che la liberazione è il raggiungimento del Nirvana, che consiste  nell’oltrepassare il livello dell’esperienza umana per contattare  l’incondizionato. Egli insegnava pertanto la  via e la metodologia  per liberarsi dalla schiavitù,  dalla sofferenza, per  accedere all’incondizionato, al Nirvana. La Nobile Verità della Via che conduce alla eliminazione della sofferenza (quarta nobile verità), comprende gli otto gradini (otto come le “membra” del cammino proposto da Patanjali negli Yoga-sutra) di una disciplina che deve essere seguita per arrivare alla eliminazione della sofferenza e insoddisfazione dell’uomo. Essi sono i seguenti:

  1. Retta Opinione  (Samma Ditthi)
  2. Retto Pensiero (Samma Sankappa)
  3. Retta Parola (Samma Vaca)
  4. Retta Azione (Samma Kammanta)
  5. Retta Vita (Samma Ajiva)
  6. Retto Sforzo (Samma Vayama)
  7. Retta Attenzione (Samma Sati)
  8. Retta Meditazione  (Samma Samadhi)

Si notino le comunanze tra le due Vie,  non solo nelle quantità, ma soprattutto nelle qualità.

 

UNO SGUARDO AL DI LA’ DI TUTTE LE DEFINIZIONI DOTTRINALI.

La caducità dell’esistenza di questo mondo e di tutto ciò che essa è in grado di offrire  è la ragione per cui la vita viene definita come “sofferenza”. È in questo senso che il Buddha definisce “doloroso” tutto quello che viene sperimentato, non negando, tuttavia, che nell’esistenza terrena vi siano anche sensazioni piacevoli e neutre. Il buddhismo (principalmente della scuola degli anziani, Theravada) nega l’esistenza di un principio cosmico e concepisce il Nirvana come “tutto ciò che è un’altra cosa” al riparo di ogni cambiamento.

E questo “qualcosa” che è al riparo di ogni cambiamento, è oltre, o meglio, prima della mente e del corpo. Non può essere visto, udito, odorato, gustato, toccato. Non può essere percepito, compreso, capito, definito. Non è un oggetto. È ciò che conosce e, in quanto tale, non può essere conosciuto. E’ senza nome, eppure, tutto risplende della sua luce. È prima del pensare o sentire. Come percepirlo allora? Ciò che percepisce è la nostra vera natura. Chi sono io? Sono Colui che pone la domanda.

Un semplice invito quindi, a dare uno sguardo a ciò che lo Yoga ed il Buddhismo  (insieme a tante altre tradizioni spirituali, compresa quella cristiana) indicano al di là di tutti i confini e definizioni dottrinali, e cioè quell’abisso inconoscibile, misterioso e meraviglioso che siamo, dove tutte le parole cessano.

 

Essendo senza tempo non richiede alcun cammino da percorrere, nessun debito da scontare. Perché non ammette niente che sia giusto o sbagliato, né riconosce giudizi o sensi di colpa. È un amore assolutamente incondizionato. Semplicemente aspetta con attenzione, chiarezza, compassione e delizia il mio ritorno quando mi muovo via da esso.                  

Tony Parsons

Praticare yoga di coppia: ecco tutti i vantaggi

Praticare yoga di coppia: ecco tutti i vantaggi

Nella pratica dello yoga in coppia possiamo riscontrare notevoli benefici, che riguardano non solo l’esecuzione degli asana o la migliore percezione del corpo nello spazio. Infatti, toccano l’aspetto forse più importante: perché e in che modo relazionarsi con l’altro.

È una tecnica che induce a lavorare sul corpo necessariamente con una qualità di ascolto e di attenzione costante  e soprattutto con un’attitudine di rispetto. Lo spazio individuale di ciascuno di noi è da considerarsi uno spazio sacro e come tale va trattato.

Nel praticare lo yoga in coppia ogni volta che cerchiamo un contatto, un appoggio, un sostegno chiediamo il permesso al compagno di pratica e, nello stesso tempo offriamo il nostro sostegno con amorevolezza ed umiltà.  È una modalità che avvicina e crea complicità e condivisione. In primis poi, stabilisce una direzione verso quello che lo yoga indica come un obiettivo necessario e importante nella pratica come nella vita: l’apertura del cuore.

Posizioni di yoga in coppia: la piena fiducia nell’altro

La pratica di yoga in coppia è un invito al lasciarsi andare, a prendere fiducia in se stessi attraverso l’altro;  con questa tecnica è come se ci mettessimo davanti a uno specchio dove impariamo a rivolgerci all’altra persona come a noi stessi, con la stessa attenzione e la stessa cura.

Fare yoga in coppia è una tecnica solitamente utilizzata in molte scuole di formazione per l’insegnamento dello yoga.  Questa tecnica, se inserita nella parte didattica di insegnamento degli asana, da un punto di vista squisitamente tecnico, aiuta a:

  1. correggere le disarmonie posturali grazie al progressivo adattamento con il corpo del compagno,
  2. amplificare la sensibilità propriocettiva,
  3. comprendere meglio  il principio del non sforzo, di stabilità e di permeabilità respiratoria.

L’esperienza dello yoga in due  consente di riconoscere in modo diretto tutte le resistenze e le tensioni anche nascoste, che spesso incontriamo nell’assumere una posizione in solitudine e quanto invece, affidandoci totalmente all’altro possiamo renderla semplice e abitabile, trasformando anche noi stessi.

È molto utile al termine di una sessione di pratica offrire uno spazio di verbalizzazione dove la coppia può condividere gli effetti riscontrati e amplificare  così la presa di coscienza di quanto intimamente siamo tutti sempre connessi e collegati.  

Perché fare yoga in coppia è consigliato

Normalmente l’atteggiamento di chi segue un corso di yoga è un atteggiamento di tipo autoreferenziale.  La persona prende posto sul proprio tappetino, segue le indicazioni dell’insegnante, preoccupata prevalentemente di eseguire le posizioni yoga in modo corretto e di raggiungere i benefici preposti. Poi, esce dalla seduta, più o meno soddisfatta del risultato raggiunto.

In tante occasioni e facile veder sorgere anche un certo atteggiamento di competizione tra i partecipanti di un gruppo.

Se la pratica dello yoga si limitasse solo a questo, il risultato sarebbe quello di rendere sterile e a lungo andare anche noioso ciò che viene svolto, con il risultato di non fidelizzare le persone alla pratica.

Le posizioni di yoga in coppia ci insegnano, al contrario, a percepirci più veri ed autentici. Nel momento in cui riconosciamo e tocchiamo, senza giudizio, le nostre stesse difficoltà nell’altro, l’aiuto e la condivisione inevitabilmente non possono che trasformarsi in un intento reciproco, liberandoci dalla presa egoica.

Le posizioni yoga in una coppia di fatto

Gli effetti positivi di praticare le posizioni yoga in due sono riscontrabili anche nelle coppie di fatto. Qui, a differenza di altre discipline, la pratica di yoga in coppia non mira ad accendere la competitività, anzi rafforza la relazione stessa, grazie ad una maggiore complicità, intimità e distensione.

Condividere l’esperienza insieme sul tappetino aiuterà a sottolineare  il valore dell’unione nel rapporto di coppia, così come la  grande  risorsa di poter fare fronte comune anche nelle difficoltà della vita.

Un unico corpo, un unico respiro. Le posizioni yoga in coppia ci spingono a fermarci ad ascoltare il nostro corpo e quello del nostro compagno con una consapevolezza piena e rilassata. Una modalità che interpreta molto bene il concetto di ahimsa – la non violenza.  

La pratica spirituale del tantrismo hinduista

La pratica di yoga in coppie, la cui evoluzione più moderna oggi incontriamo nello yoga acrobatico o acro yoga, tecnica dedicata ai più giovani e anche molto divertente, in realtà vede affondare le sue radici in una pratica spirituale molto antica, il tantrismo hinduista. Quest’ultima è l’unica nella quale troviamo la pratica della meditazione in coppia e dove la presenza dell’altro era ritenuta utile ad approfondire una conoscenza interiore oltre ogni dualità e separazione.

Allo stesso modo,  praticare le posizioni yoga in coppia aiuta a realizzare una mente meditativa.  La necessaria  attenzione all’incontro  con il  compagno rende la mente concentrata sul momento presente restituendola  alla sua natura originaria  di calma e stabilità.

Yoga per anziani: è utile?

Yoga per anziani: è utile?

Molto spesso la fase dell’invecchiamento può essere contornata da piccoli problemi di salute, quali ad esempio l’infiammazione delle articolazioni e il mal di schiena. Si tratta in alcuni casi di piccoli acciacchi, ma in altri di veri e propri impedimenti che peggiorano la qualità di vita delle proprie giornate. Lo yoga per anziani, in queste circostanze, può essere la giusta disciplina in grado di far ritrovare alle persone un certo riequilibrio fisico ma anche energetico e mentale.

Quando l’individuo si trova ad oltrepassare la cosiddetta soglia dell’età dell’argento, cambiano e vengono meno le prospettive dell’età più giovanile, le occupazioni di sempre e la gestione delle proprie giornate necessariamente vedono cambiare il loro ritmo per evitare una eccessiva stanchezza. Subentra la sensazione di una maggiore fragilità che deve essere comunque sempre compensata dalla maggiore saggezza e consapevolezza, doni di una vita lungamente vissuta.

Può anche accadere, però, che una persona anziana sia o si senta particolarmente sola o addirittura invisibile rispetto ad una società che celebra l’avvenenza e la giovinezza. 

Sappiamo, inoltre, fin troppo bene quanto la depressione dell’umore e il pericolo di una depressione di tipo senile possa caratterizzare il vissuto nelle persone di questa fascia di età.

Un corso di Yoga destinato a queste persone non può non tenere conto di tutti questi aspetti che sappiamo interagire fra di loro, condizionando la qualità di vita.

La stagione della senilità è una stagione importante nella vita di una persona e non bisognerebbe dimenticare la sua ricchezza per le generazioni a venire. Le foglie di un albero, al termine del loro ciclo vitale di seccano, si staccano, cadono non per andare perse ma per diventare humus: il miglior nutrimento per ciò che di nuovo nascerà.

Da qui, ho ritenuto importante operare nei miei corsi di yoga per anziani, una scelta a partire dal nome: non più yoga per anziani ma Yoga Gentile.

Una scelta che non sottolinei a priori il messaggio di una separazione o un’esclusione netta, bensì l’indicazione di una diversa modalità di approccio cui possono far riferimento anche altre persone più giovani ma con mobilità fisiche ridotte. E perché la “gentilezza” alla fine, deve essere sempre e comunque il motore dell’azione fisica e verbale per chi esegue il movimento ma anche per chi lo insegna.

 

Cos’è lo yoga per anziani?

Quando si parla di yoga ci si riferisce a quell’attività spirituale che affonda le sue radici millenarie nella filosofia orientale e che oggi è spesso considerata anche come una forma di ginnastica, proprio perché è composta da un mix di movimenti corporali che si associano a determinati esercizi di respirazione.

Oltre che a ridurre lo stress e a tonificare il corpo, lo yoga è perfetto per far lavorare in modo corretto i muscoli e le articolazioni ed è inoltre ideale per sciogliere le tensioni e rinforzare la  muscolatura. È proprio per tale ragione che lo yoga “dolce” per anziani viene considerato altamente benefico sotto il punto di vista psicofisico, dato che può migliorare vari aspetti dell’esistenza delle persone di età anche assai avanzata.

I corsi di yoga per anziani  devono poter stimolare la curiosità, il buonumore, alimentare lo scambio e la ricchezza della relazione con gli altri dove poter condividere anche gli eventuali acciacchi come i piccoli progressi. Stimolare in loro un certo grado di vitalità avrà una ricaduta anche sul piano fisico e sul tono dell’umore.

Lo yoga per anziani o yoga gentile permette a chi lo pratica di ritrovare la connessione col proprio corpo e anche con la propria anima. I lenti movimenti praticati qualche ora a settimana contribuiscono a mantenere “vivi” e attivi diversi componenti fisici ed a recuperare il contatto e la gestione del respiro, stimolando anche la memoria e la concentrazione, qualità spesso deficitarie in questo periodo della vita.

 

Come combattere i dolori cronici con lo yoga dolce per anziani

 Artrite, artrosi e osteoporosi sono malattie molto comuni che insorgono con l’avanzare appunto dell’età e la maggior parte delle volte mettono a dura prova la capacità di movimento delle persone che ne sono soggette, fino a limitare molte delle azioni quotidiane che fanno parte della routine giornaliera.

Recentissimi studi hanno dimostrato che lo yoga per anziani è un validissimo aiuto per contrastare i dolori cronici, continui e ricorrenti, che si possono manifestare in qualsiasi parte del corpo. Anche la stessa curvatura della colonna vertebrale può trovare giovamento quando un individuo pratica con costanza lo yoga, in modo appunto gentile ed adeguato, anche oltre i settant’anni.

Inoltre, lavorare sull’allineamento della colonna vertebrale  può favorire una migliore circolazione che nell’anziano rappresenta un altro punto debole. Il miglioramento dell’azione respiratoria come dell’ossigenazione del sangue, della circolazione venosa, linfatica e soprattutto cerebrale  rappresentano i migliori strumenti per poter rallentare l’invecchiamento del Sistema Nervoso Centrale – SNC –  e provare così a contrastare  l’insorgenza di malattie senili importanti come il tanto temuto Alzheimer ma anche di  tutti quei sintomi conseguenti a un declino cognitivo più o meno precoce.

Patologie tra l’altro fortemente invalidanti per la persona in primis ma anche con una ricaduta pesante anche a livello sociale e sanitario.

Ecco che in questo contesto la disciplina dello yoga può esplicare tutta la sua efficacia a livello preventivo come anche tutta la sua valenza e connotazione di tipo sociale e umanitario.

 

Lo yoga dolce contro la sedentarietà e l’esclusione sociale

È assolutamente sbagliato pensare che una persona anziana che presenti qualche problema fisico non debba praticare alcuna forma di ginnastica : l’inattività è assolutamente deleteria rispetto a quanto appena descritto. Mantenere il proprio corpo in movimento è invece di vitale importanza per chi ad una certa età riscontri difficoltà di movimento e deambulazione. I muscoli di un anziano, indeboliti naturalmente dal passare degli anni, hanno bisogno di essere esercitati attraverso movimenti sapientemente ritagliati su di loro– seppur leggeri e non bruschi – e in questo lo yoga per anziani o yoga gentile può risultare miracoloso.

Attraverso questa storica pratica il corpo si stanca, ma soltanto in modo intelligente grazie alla totale assenza di sforzo nei movimenti : alla fine della seduta la muscolatura sollecitata ne risulterà più tonica ma al tempo stesso più rilassata. Nello stesso tempo una mente più calma, grazie a semplici esercizi respiratori e alla pratica di brevi momenti di meditazione favorirà una maggiore concentrazione consentendo di gestire anche un’eventuale insonnia o comunque un sonno disturbato, ed è noto che chi dorme bene ha anche più energia durante il resto della giornata.

Inoltre, gli anziani che praticano yoga non soltanto riescono ad evitare la sedentarietà che può provocare anche problemi cardiovascolari, ma si ritrovano a essere partecipi in una squadra che li rende parte di un gruppo sociale. Non sentirsi da soli contribuisce ritrovare il senso della propria vita e integrarsi con gli altri, all’interno di un contesto del quale sono i protagonisti delle proprie azioni. Lo yoga per anziani è dunque importante anche per allontanare possibili depressioni e cali di autostima.

UNO SPAZIO ALL’INSEGNA DEL BUONUMORE

Un altro ingrediente importante da mescolare alle pratiche per gli anziani è l’elemento del gioco o comunque del divertimento: rendere le pratiche leggere e divertenti è stata visto  sviluppare una partecipazione interattiva di tipo affettivo, che consentirà di allenare la memoria in modo piacevole e istintivo  ed anche di promuovere il desiderio e l’interesse di proseguire nelle pratiche.  Anche i più recenti studi inerenti la neuro plasticità cerebrale e l’epigenetica hanno visto come l’ottimismo sia in grado di attivare l’azione selettiva dei sistemi neurochimici e  di strutture cerebrali.

Infine

Se è vero che, purtroppo, la demenza è riconosciuta oggi come la malattia neurodegenerativa più diffusa al mondo è anche vero che l’esercizio fisico viene considerato come un trattamento adiuvante per diverse malattie mentali.

L’efficacia dell’esercizio fisico sarà ancora maggiore se centrata su movimenti in grado di riallineare la mente con il corpo, sviluppare l’attenzione e la concentrazione utilizzando l’elemento del respiro: un’attività da sempre proposta dallo yoga.

Dagli “otto passi” di Patanjali fino a T. Krishnamacharya e Pattabhi Jois. Parte quarta. Ashtanga yoga

Dagli “otto passi” di Patanjali fino a T. Krishnamacharya e Pattabhi Jois. Parte quarta. ASHTANGA YOGA

Ashtanga yoga noi oggi lo conosciamo come una tecnica dinamica basata sulla coordinazione di respiro e movimenti che fluiscono naturalmente nello stile dell’Ashtanga Vinyasa Yoga – ma in realtà, è una pratica che si svolge lungo e attraverso l’ottuplice sentiero dello yoga così come ci viene mirabilmente consegnato da Patanjali nei suoi Yoga Sutra e il cui obbiettivo è quello di perseguire il fine ultimo dello yoga: l’espansione della coscienza.

Questo è un aspetto molto importante da sottolineare poiché essendo Ashtanga una tecnica che pone l’accento su una certa forza e padronanza del corpo fisico, il rischio è quello di venire allineata ad una semplice tecnica ginnica, depauperandola così di tutto il suo significato.

Approfondiamo in questo articolo l’argomento cercando di capire di cosa si tratta, quali sono i suoi vantaggi e come si pratica.

 

Ashtanga yoga: origini e filosofia

Lo Yoga Sutra di Patanjali, questo testo, che è costituito da ben 196 aforismi, offre le basi per raggiungere un’autentica conoscenza e padronanza dell’esperienza di sé.

Il termine sutra come sappiamo, deriva dal sanscrito e significa filo.  E come tutta l’opera di  Yoga Sutra si svolge come una sequenza di fili collegati l’uno all’altro, così questi otto livelli si susseguono e si sostengono l’uno con l’altro.   

Patanjali, da alcuni definito come l ”Omero” dello yoga ci suggerisce la pratica e al tempo stesso ne fornisce il significato e la motivazione.  Patanjali, in tutta la sua opera, non ci parla nello specifico di quali o quante asana praticare ma ci parla piuttosto del metodo e della disciplina da adottare;

Ci insegna che lo yoga nasce come una via di auto percezione e di auto realizzazione e questo credo sia il primo messaggio da trasmettere anche ai nostri allievi sia che vogliano dedicarsi alla pratica di Hatha o di Ashtanga Yoga, in modo che arrivino ad una comprensione chiara di cosa stanno cercando sopra il loro tappetino.

Lo yoga è una scienza pratica ed esperienziale e, come testimoniano i testi antichi, la comprensione che arriva attraverso l’esperienza è sempre la comprensione più autorevole.

Nello svolgimento della  pratica di Ashtanga  incontriamo subito e in modo diretto concetti quali ad esempio abhyasa, vairagya, tapas : termini che negli Yoga Sutra di Patanjali sono indicati come ingredienti necessari per potersi aprire alla conoscenza di sé e al senso dell’infinito.

Del resto, sappiamo che occorre impegno costante, una certa dose di autodisciplina, passione e concentrazione focalizzata ma anche non violenza ed umiltà se vogliamo veramente dare un senso profondo e trasformativo a ciò che facciamo, nello yoga come nella vita. In questo senso l’Ashtanga è uno stile molto rigoroso e impegnativo da un punto di vista fisico. Nella sua tradizione si incarna in una disciplina rigorosa  e in una passione costante comunque intessute da necessarie norme pratiche e morali da adottare.

Poiché l’ego  si nutre dello sforzo fisico e cognitivo e di un atteggiamento competitivo verso se’ stessi, la pratica ci può fornire i presupposti per cambiare lo sguardo su noi stessi e sul mondo.  Con l’Ashtanga Yoga grazie ad una pratica intensa e rigorosa ma svolta in assenza di sforzo e alla recitazione dei mantra all’inizio e alla fine della seduta impariamo a padroneggiare e a purificare corpo e mente dalle tossine sostituendo la fluidità allo sforzo.

Patanjali ci invita, infatti, ad utilizzare il corpo non come fine ma come strumento di purificazione, a diventare piano piano una sequenza dopo l’altro più permeabili al respiro, a non identificarsi con i processi mentali per poterci aprire all’incontro con la totalità dell’essere.

Ashtanga yoga veicolata e strutturata dai grandi insegnanti T. Krishnamacharya, considerato il padre dello yoga moderno –  prima di lui la disciplina veniva tramandata esclusivamente da maestro ad allievo –   e Sri K. Pattabhi Jois, suo discepolo ed ideatore dello stile Vinyasa , affonda come abbiamo visto le sue radici nella Tradizione, in quanto discende in modo diretto dalla più ortodossa e tradizionale pratica di Hatha yoga.

La tecnica nota anche come “meditazione in movimento” per il suo costante collegamento fra respiro e movimento, si compone di sequenze fisiche e spirituali connesse tra loro. Si esegue  iniziando con una serie di saluti al sole, seguita da asana in piedi e da tecniche di postura:

Yoga Chikitsa utile per disintossicare e allineare il corpo.

Nadi Sodhana per purificare il sistema nervoso.

Stira Bhagah Sampta di cui ne esistono 4 varianti per un totale di 6 sequenze predefinite che hanno lo scopo di integrare forza e grazia.

 

I benefici dell’Ashtanga Yoga

L’Ashtanga yoga è un flusso di posizioni collegate tra loro da movimenti consapevoli, resi possibili dalla coordinazione con il respiro rumoroso e sottile di Ujjay Pranayama, una tecnica respiratoria utile per mantenere la profondità del respiro, l’attenzione e la calma mentale per tutto il tempo della seduta. Anche l’attenzione focalizzata su un punto attraverso Dristi, lo sguardo, induce ad una maggiore presenza e ad un’azione più concentrata, infine la tenuta dei bandha – chiusure- permette di canalizzare al meglio l’energia nel corpo permettendo anche il rilascio delle tensioni inutili.

Naturalmente, la costanza nella pratica è come sempre fondamentale ed aiuterà a trasferire i benefici acquisiti anche nel quotidiano sia da un punto di vista muscolo scheletrico che da un punto di vista psicofisico e attitudinale.

Il corpo e il respiro così coordinati fra di loro durante tutta la seduta diventeranno il seme per l’’esperienza di un nuovo stato d’essere che il praticante cercherà di mantenere anche oltre.

L’Ashtanga yoga e il suo stile Vinyasa  è  particolarmente indicato per persone in buono stato di salute e ben allenate, non è assolutamente indicato agli anziani o a chi soffre di problemi articolari rilevanti. Lo scopo principale della pratica è mantenere la concentrazione sulla propria interiorità. Calma e rilassatezza devono essere alla base dei cicli dinamici.

L’Ashtanga Yoga richiede concentrazione e grande impegno fisico. La schiena e tutta la colonna sono sottoposti ad un lavoro intenso, aumentando la scioltezza dei tendini e dei muscoli. Gli organi interni vengono massaggiati e traggono grande beneficio dalla tecnica che influisce anche sul controllo del sistema nervoso, sul sistema circolatorio e sulla regolazione delle funzioni delle ghiandole endocrine.

“Yoga significa unione: unione di mente e corpo, unione di sé con il divino, unione con gli altri e così via. È una disciplina che parte dal corpo e si estende alla filosofia e alla meditazione; lavora sul concreto per sondare se e cosa ci sia oltre.”  Sri K. Patthabi jois.

 

.